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Channel: Architettura Ecosostenibile: bioarchitettura, design e sostenibilità
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Rifugi per i senzatetto: sperimentazione abitativa

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Nel Regno Unito è stato indetto un concorso "Spazio per nuove visioni”, giunto alla sesta edizione, organizzato dal magazine di architettura europea A10. I concorrenti dovevano creare un progetto visionario, presentando elaborati architettonici, di qualsiasi edificio. Vincitore del contest è il progetto sperimentale di un rifugio per senzatetto.

CASE PER SENZATETTO dal riciclo di rifiuti

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I progettisti avevano il mandato di puntare l’attenzione su temi quali la luce naturale, il comfort, la funzionalità, la facilità dell’utilizzo e il rispetto dell’ambiente.

Il concorso ha ricevuto quasi 60 progetti provenienti da diverse parti del mondo, come la Bielorussia, Spagna, Repubblica Ceca, Polonia, Italia e Thailandia, Stati Uniti, Messico e Gran Bretagna.

La giuria ha proclamato da pochi giorni il suo vincitore, dopo aver vagliato proposte di altissimo livello: l’originalità della destinazione ha inciso sull’esito del concorso. Il tema della gara prevedeva la creazione di uno spazio che spingesse la mente a una nuova visione di spazio. I vincitori, rappresentati da James Furzer  di  Spatial Design Architects, hanno proposto “ Le case per i senzatetto”. 

Il problema degli homeless in UK è molto sentito: le persone senza fissa dimora sono oltre 750 nella sola Londra. Questa interessante “casa baccello” temporanea, arroccata su edifici esistenti, potrebbe essere un soluzione interessante per dare un ricovero a chi, di giorno e di notte, si trova emarginato in strada, soprattutto durante i climi rigidi.

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Dal punto di vista strutturale, la pelle che ricopre la capsula può essere modificata a seconda delle esigenze dell’edificio a cui addossare i rifugi e alle disponibilità di recupero del materiale. La manutenzione, essendo ricoveri temporanei, sarà affidata a enti di beneficenza che dovranno gestire chi potrà usufruire dei baccelli.

Con la crisi economica, le persone che vivono senza fissa dimora sono in aumento. Emarginato dalla società ed isolato, in media un senzatetto muore a soli 47 anni, e le persone che vivono in strada hanno molte più probabilità di ricorrere al suicidio rispetto alla media. Subire insulti, molestie e aggressioni da parte del pubblico è un duro prezzo da pagare per chi vive questa situazione ai margini della società. L’integrazione architettonica di queste mini dimore può essere un primo passo per rendere più facile la vita di queste persone disagiate. Con “Case per i senzatetto” , James Furzer spera di cambiare il mondo. Un rifugio alla volta.


Edifici giardino: la natura nell'ospedale aiuta la guarigione

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Heatherwick Studio ha presentato il progetto per la costruzione di un nuovo padiglione ospedaliero universitario a Leeds. La struttura ospiterà il centro Maggie, associazione che si impegna per il supporto pratico, emotivo e sociale gratuita per le persone con il cancro e loro familiari e amici.

SALUTE, BELLEZZA E PACE: IL CENTRO SALAM DI EMERGENCY IN SUDAN

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Dedicato ai malati oncologici, i progettisti hanno sviluppato un progetto con l’obiettivo dichiarato di sfruttare l'effetto terapeutico delle piante a beneficio dei malati di cancro. L'edificio è stato progettato come una serie di percorsi verdi,  tra gradini e”fioriere" , che si intrecciano a formare ambienti interni poco convenzionali per una struttura medica, creando una sensazione di continuità tra spazio interno, esterno, privato e pubblico. 

L’edificio-giardino, che nasce sul sedime di una precedente area verde, non ha snaturato l’idea di oasi di pace, ma l’ha amplificata, dotandola di servizi necessari per la cura. Con l’aiuto di paesaggisti Balston Agius saranno progettati i vuoti circostanti la struttura.

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I progettisti di Heatherwick Studio saranno gli interpreti dell’edificio che porterà un Centro Maggie nello Yorkshire. “La creazione di un ambiente tranquillo per permettere agli operatori di svolgere il programma di sostegno per le persone che vivono con il cancro è incredibilmente importante”, ha detto Laura Lee, Chief Executive di Maggie.

Il Centro Maggie di Leeds è programmato per essere completato nel 2017, quando si unirà  alle 18 altre cliniche Maggie in tutto il Regno Unito e in tutto il mondo. Esperimenti di questo tipo non sono i primi che incontriamo.

IN CHE MISURA UN GIARDINO PUÒ AIUTARE A GUARIRE? 

In America, esperimenti come gli “healing gardens “ (verde progettato appositamente a scopo curativo) sono una realtà da vent’anni.  

Le teorie che supportano la grande importanza del verde per un recupero curativo si debbono al dottor Roger Ulrich, fondatore del primo centro interdisciplinare tra medicina e architettura all’Università del Texas e pioniere della ricerca sui giardini curativi. Attualmente insegna architettura terapeutica nelle università di Chalmers, in Svezia, e di Aalborg, in Danimarca. Tutto parte dalla sua esperienza personale. Affetto da nefrite, da bambino ha vissuto lunghi periodi di degenza in differenti ospedali. Ulrich ha passato tanto tempo ad osservare il mondo fuori dalla finestra: "se vedevo un albero, mi sentivo meglio. Quando si è immersi in un ambiente freddo, funzionale e spaventoso come un ospedale, la mente cerca una via di uscita verso la normalità. Solo più tardi mi sono chiesto se esisteva un rapporto preciso tra quella sensazione che avvertivo da bambino e un effettivo miglioramento fisico nelle condizioni dei pazienti". Per dieci anni, Ulrich ha “sconvolto” il rigido ordine competitivo delle camere d’ospedale, spostato letti per garantire una vista sull’esterno, allestito pareti con immagini naturalistiche, portando piante. Dopo la raccolta di un folto quantitativo di dati, ha potuto provare che i pazienti che avevano la possibilità di avere contatti con la natura guarivano più velocemente rispetto agli altri.

Altro esempio dell’importanza di una approfondita ricerca su questi temi è la nascita, nel 2007, dell’associazione americana Hope in Bloom che realizza giardini e allestisce terrazzi e balconi nelle case per le donne in cura per il cancro al seno. "Ci sono molti studi che provano come l’esposizione al verde aumenti il livello di serotonina nel corpo umano: significa una carica di energia in più e un antidoto contro la depressione", dice la fondatrice, Roberta Dehman Hershon. Anche per lei l’esperienza ha contribuito in modo fondamentale a dar vita all’associazione. "Quando la mia migliore amica Beverly si è ammalata gravemente di tumore al seno, abbiamo deciso di dare un senso a quello che stava succedendo e abbiamo costruito un giardino: una scusa per vedersi ogni giorno e lavorare a un progetto comune, senza parlare della malattia, rilassandosi e vivendo la vita con un ritmo diverso".

Giulio Senes, ricercatore alla Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano puntualizza: "in un momento di grandi tagli di spesa per la sanità, si potrebbe pensare che realizzare un giardino sia un lusso da evitare. Ma esiste una legge del 1939 che impone uno spazio libero di 15-20 metri quadrati per ogni posto letto da adibire a giardino. Il verde, insomma, deve esserci per legge; il vero spreco, semmai, è progettarlo male. Senza contare che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ridefinito nel 1998 la salute come “uno stato dinamico di complessivo benessere fisico, mentale, spirituale e sociale e non solo assenza di malattia o infermità”.

OSPEDALI COME PARCHI IN ITALIA

E in Italia? Qualcosa sta cambiando.Il progetto di Renzo Piano per la "fabbrica della salute", che sorgerà nell’area ex Falck di Sesto San Giovanni, Milano, ha osservato e posto l’accento sulla "fragilità dell’uomo nel momento della malattia". Lo scopo dell’architettura è di offrire "alla sofferenza quella dignità della persona troppo spesso sacrificata da strutture afflitte da gigantismo"

Nei padiglioni ancora in fase progettuale, che potremo vedere nel 2017, laboratori e sale chirurgiche saranno sottoterra e ogni camera avrà "una piccola finestra sporgente sul parco", spiega Piano. "Anche dal letto si godrà la vista sul verde: sugli alberi d’alto fusto ma anche sugli orti, che oggi sappiamo essere parte integrante del processo di cura".

Progettare in modo terapeutico migliora la vita di tutti: malati, familiari, personale medico. In modo naturale, economico e sostenibile.

Tiny houses: i vantaggi di un appartamento molto piccolo

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Le cosiddette tiny-houses (da tiny, minuscolo e house, casa) altro non sono che delle case molto piccole. Su ruote, in condominio, monofamiliari, sugli alberi e galleggianti, ne esistono di tanti tipi, accomunate dalla loro caratteristica principale: le dimensioni ridottissime. 

PICCOLO È BELLO: VIVERE IN UNA MANCIATA DI MQ

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Ecosostenibilità inversamente proporzionale alla dimensione delle abitazioni: pare essere questa l’equazione vincente, quella che offre la soluzione ai problemi legati ai consumi energetici e alla gestione degli sprechi di ogni tipo. Non è cambiata solo la metratura degli interi edifici e dei singoli appartamenti ma anche la loro distribuzione interna; dall’eliminazione dei corridoi, agli angoli cottura che rimpiazzano le cucine abitabili, ai soggiorno-sala-cucina che in un unico spazio inglobano una triplice funzione.  

Sulla base di una statistica quinquennale pare che nel periodo tra il 2007 e il 2013 le superfici degli appartamenti, in Italia, si siano ridotte mediamente del 10%.

PERCHÈ SCEGLIERE UNA TINY HOUSE?

  • Motivazioni economiche: le case più piccole rappresentano al momento un tendenza, ma da sempre sono state l’alternativa per chi non voleva spendere per acquistarne di grandi. Una casa piccola ha un costo più basso, sia per l'acquisto che per l'affitto, e basse sono anche le spese di gestione, sia che si tratti di un’abitazione monofamiliare che in condominio, dove sono si hanno meno millesimi relativi ad una proprietà e bollette condominiali più basse. Anche i mutui per l’acquisto sono più contenuti e questo è un grosso vantaggio soprattutto per l’accesso ai finanziamenti per comprare una casa.

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  • La gestione domestica: Non solo i giovani cercano casa, ma anche gli anziani. C’è tutta una parte di popolazione che spesso per motivi fisici e/o organizzativi si ritrova a dover modificare la propria abitazione o a cercarne una nuova. Scegliere una soluzione con spazi ridotti all’essenziale è utile sia alle persone anziane che hanno ridotte capacità motorie e possono muoversi più agevolmente in spazi dove ogni cosa è rapidamente raggiungibile, che ai giovani che lavorano ed hanno poco tempo per le faccende domestiche. Va da sé che alla dimensione dell’immobile andrebbero poi associate altre caratteristiche utili a migliorare la fruibilità e l’accessibilità, quali ad esempio l’assenza di dislivelli e di ostacoli difficilmente superabili.
  • Riduzione dell'impatto ambientale: Una casa di dimensioni ridotte, se attentamente progettata e gestita si rivela un ottimo strumento per combattere l’impatto ambientale. Meno energia rispetto alle abitazioni spaziose non significa soltanto risparmio in termini di denaro, ma anche ridotto impatto sull’ambiente (LCA dei materiali ridotto, tempi di costruzione e/o manutenzione più rapidi, etc…).
  • Location d'eccezione: a volte le tiny houses, per via delle loro ridotte dimensioni, riescono a collocarsi in posizioni eccezionali, con una vista mozzafiato. Se sono su ruote poi, la vista può cambiare tutti i giorni. 

La soluzione ecosostenibile e anti-crisi quindi sono le case di dimensioni ridotte, ovviamente con le dovute attenzione a particolari costruttivi e alla scelta delle soluzioni materiche; potrebbe accadere per assurdo che un miniappartamento abbia dei costi di costruzione e gestione maggiori di quelli di una villa ben progettata. 

Un esempio paradossale

Sembrerebbe incredibile e nel nostro paese non sarebbe neppure dichiarata abitabile, ma una tiny-house davvero estrema è quella realizzata dal giovane Scott Brooks, che dopo anni trascorsi a vivere in tenda ha scelto un’abitazione stanziale a Shaw Island, nell’arcipelago di San Juan nello stato di Washington, vicino al Canada, delle dimensioni poco più grandi di quello che era il suo alloggio temporaneo. 

{youtube}92ppQNuMqeI{/youtube}

Il bello di questa minuscola casetta -che non arriva neppure a 8 Mq-  è che è stata molto curata nei dettagli e pensata in materiali riciclabili e riciclati. Il costo di costruzione? Stenterete a crederlo, ma si aggira intorno ai 500 euro.

Recupero di una torre difensiva in Grecia

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In Grecia, nel Peloponneso, dove prima risiedevano uomini dalla vista aguzza, che scrutavano il mare in cerca di velieri nemici, ora le persone trovano ristoro per la mente e per lo spirito ammirando il paesaggio mozzafiato che si gode oltre lo strapiombo. Infatti, gli architetti Kostas Zouvelos e Kassiani Theodorakakou sono riusciti a trasformare una torre difensiva di avvistamento, che sovrasta Capo Tainaron in località Asiata, in luogo di contemplazione

IL PROGETTO DI RESTAURO DEL CASTELLO DI ASTLEY

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IL PROGETTO DEL RECUPERO DELLA TORRE

Il volume esterno della torre sembra non aver subito alcuna modifica: dalla costa e dall’entroterra si staglia verso il cielo un parallelepipedo in pietra locale con copertura piana saldamente accorato alla roccia del monte. Infatti, gli spazi necessari alla nuova destinazione d’uso sono stati sapientemente ricavati all’interno del perimetro murario esistente, le lacune sono state riempite utilizzando il medesimo materiale reperibile in loco e la piscina a sfioro inserita ex novo non interferisce visivamente con l’unitarietà di stile della costruzione. Inoltre, al fine di aumentare la coesione tra le pietre, le superfici interne ed esterne sono state stuccate in “kourasani”: una malta costituita da terra di Theraic, che si trova nelle vicinanze, polvere di ceramica, calce, sabbia di fiume e una piccola quantità di cemento.

All’interno gli ambienti sono disposti su quattro livelli: tre camere da letto, due bagni e una cucina si articolano negli stretti spazi dove in alcuni punti le pareti sono costituite direttamente dalla pietra viva. Una serie di scalette interne ed esterne collegano i vari ambienti della torre arredati in stile contemporaneo. Le piccole aperture, che incorniciano il mare, non sono state ampliate: in questo modo pochi raggi di sole penetrano all’interno rischiarando gli ambienti bui in pieno contrasto con la luce accecante dell’esterno tipica della Grecia.

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Shigeru Ban: rifugi autocostruiti per le vittime del terremoto del Nepal

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Lo studio Shigeru Ban Architects ha rilasciato le immagini del suo primo prototipo di un rifugio di emergenza progettato dopo il disastro in Nepal della scorsa primavera. 

Il prototipo è pronto per essere costruito entro la fine del mese di agosto ed è stato progettato per essere facilmente montato anche da persone non esperte in montaggio di strutture. 

RICOSTRUZIONI POST CALAMITÀ: NEW ORLEANS DOPO L'URAGANO KATRINA

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Utilizzando dei semplici collegamenti tra i moduli dei rifugi,  vengono realizzate le strutture di base (cornici in legno di 90 cm x 210 cm), i mattoni e le macerie recuperate vengono utilizzate per il tamponamento delle murature, mentre con i tubi di cartone (tipici dei progetti dell'architetto giapponese) viene creata una struttura reticolare che sostiene il tetto. Questo tipo di struttura, per come è stata concepita, come afferma Shigeru Ban, permetterà un "montaggio rapido e insediamento quasi immediata".

Shigeru Ban è un architetto infaticabile che vive tra New York, Tokyo e Parigi, e il cui lavoro ha da sempre espresso fiducia verso la rigenerazione e la ricostruzione di siti devastati. Di recente, nel 2014, ha vinto il Pritzker: si tratta del più prestigioso premio d’architettura internazionale, conferitogli per le sue opere costruite in materiali riciclati, destinate a ospitare i profughi delle guerre civili e le vittime dei disastri naturali. La sua tecnica usa materiali naturali rigenerabili come il bambù, oppure riciclati come le stoffe e i sottoprodotti di carta e plastica, o ancora adoperando materiali locali, per costruire colonne, muri e travi portanti.

La logica di Ban è semplice: realizzare qualcosa che sia facile da smontare e rimontare e nello stesso tempo resistente all’acqua e al fuoco. 

Per Shigeru Ban, la sostenibilità è un valore appartenente alla stessa architettura. Le sue opere si sforzano di utilizzare prodotti e sistemi adeguati, in sintonia con l’ambiente e il contesto specifico, nonché materiali rinnovabili e, quando possibile, di produzione locale.

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Il progetto del rifugio è stato concepito in collaborazione con l'organizzazione umanitaria di Ban, Voluntary Architects Network (VAN). A partire da quando si avvierà la realizzazione, la previsione è di fornire in pochi mesi case temporanee utilizzando materiali locali disponibili in Nepal. Partner del progetto e della realizzazione saranno anche le Università locali, gli studenti e molti architetti nepalesi. 

Intanto l'azienda di Ban e la sua organizzazione di soccorso volontario distribuiranno semplici tende-integrate con fogli di plastica donate dagli appaltatori locali che serviranno da pareti divisorie per essere montate temporaneamente in loco come rifugio temporaneo e stazioni per aiuto medico.

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Il padiglione dell'Estonia ad Expo 2015: "Gallery of"

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Il nome del progetto dello studio Kadarik Tüür Arhitektid – gruppo estone con sede a Tallinn – per il padiglione dell’Estonia a Expo Milano 2015 è la chiara sintesi della natura della costruzione così come la dinamicità e creatività del popolo nordeuropeo si riflette perfettamente nella flessibilità e multifunzionalità dello spazio progettato.

L’edificio, con una superficie di circa 1200 metri quadrati, non è un contenitore statico ma fa da cornice alla vita che si svolge al suo interno: l’architettura è stata pensata in modo da adattarsi alle diverse esigenze di mostre, rappresentazioni e concerti.

EXPO 2015: IL PADIGLIONE DEL BRASILE IN SUGHERO

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All’interno della galleria dell'Estonia si fondono elementi tradizionali e rivoluzioni high-tech rappresentativi dei caratteri tipici del popolo baltico e del proprio territorio naturale incontaminato che si uniscono con l’innovazione tecnologica del paese, definita dalla BBC come la ”Next Silicon Valley”. Il padiglione ospita più di trenta aziende e la sua permeabilità, ovvero il continuum spaziale tra l’interno e lo spazio aperto esterno, rappresentano l’apertura e la trasparenza al livello economico e commerciale del paese nei confronti del visitatore e, quindi, del mondo e delle dinamiche globali.

LA STRUTTURA DEL PADIGLIONE ESTONE

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L’edificio è facilmente comprensibile sul piano compositivo e costruttivo. La struttura è composta da cinquantadue box modulari e impilabili in legno lamellare, alternati ritmicamente a spazi aperti: l’alternanza dei pieni e dei vuoti è così assimilabile al disegno di una scacchiera. Il design delle scatole è variabile in modo da poter creare molteplici moduli adattabili alle diverse funzioni: c’è un modulo altalena, un modulo per le presentazioni su schermi LED, moduli con pareti mobili per le mostre e moduli appositi per la sala conferenze e meeting. Questo sistema è stato scelto sia per la semplicità di costruzione e di smontaggio al termine della manifestazione che per la flessibilità degli spazi interni, così come la monomatericità del padiglione è intesa come fondale neutro per tutti gli eventi ospitati e per le diverse immagini proiettate dagli schermi a LED installati.

{youtube}ntM1tbibYgs{/youtube}

L'ORGANIZZAZIONE INTERNA

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Al piano terra, ai lati di un ampio open space flessibile che ospita gli eventi più disparati, oltre all’alternanza ritmica di box espositivi e dei tradizionali kiik, troviamo un punto informazioni, un ristorante che propone street food tradizionale e un negozio di souvenir.

Per mezzo della scala centrale si raggiunge il primo piano, che ospita uno spazio espositivo in cui vengono esaltate le punte di diamante della produzione estone – imprese innovative, soluzioni di e-State, turismo rurale e imprese green, elementi del settore creativo e delle belle arti – oltre a un ulteriore bar tematico, dedicato ai prodotti tipici della nazione baltica a base di segale, dal pane alla birra e ai distillati.

Al secondo piano viene invece messo in evidenza il grande rapporto dell’Estonia con la natura. Qui è riprodotto un piccolo bosco con le specie arboree più tipiche del paese – le betulle – animato dal suono del canto degli uccelli: le registrazioni vengono attivate grazie a delle fotocellule e il volume si alza in base a quanti più visitatori vengono percepiti dai sensori. Una serie di schermi trasmettono live la vita degli uccelli estoni e, più in generale, di alcuni animali presenti sul territorio nazionale, filmati attraverso telecamere nascoste.

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SOSTENIBILITÀ E RISPARMIO ENERGETICO

Così come molti altri stati in Expo Milano 2015, anche l’Estonia ha scelto il legno come materiale dominante della costruzione, utilizzando le sue caratteristiche come espressione della sostenibilità e dello stretto vincolo tra società e natura.

L’impianto di illuminazione, che regola automaticamente le lampade in base alla variazione delle condizioni di luce naturale esterna, sottolinea l’attenzione al risparmio energetico. Uno degli elementi più interessanti del padiglione, da questo punto di vista, è costituito dal tradizionale kiiking, sport di cui gli estoni sono inventori: per mezzo dei kiik, delle altalene, anche biposto, inserite nei vuoti lasciati dalla struttura e collegate a dei generatori, i visitatori sono in grado di convertire l’energia cinetica dell’oscillazione dei dondoli in energia elettrica, auto-producendo così energia. Superate le cinque oscillazioni infatti, il sistema alimenta dei caricatori per cellulare messi a disposizione degli utenti, mentre delle macchine fotografiche immortalano il kiiker ignaro, quando meno se lo aspetta: al momento di abbandonare l’altalena il visitatore può ritirare la propria fotografia, stampata assieme ai dati sulla quantità di energia prodotta con le oscillazioni, in modo da comprendere quanta energia sia necessaria per le comuni azioni quotidiane.

TECNOLOGIA

L’avanzata produzione tecnologica del paese baltico non poteva non caratterizzare il padiglione estone con tecnologie e software innovativi: una grande quantità di schermi a LED rivestono le pareti delle stanze, soffitto compreso, proiettando scene in live streaming direttamente dall’Estonia – addirittura dalle cucine di un ristorante noto in tutto il mondo. All’interno del padiglione, una rete wi-fi libera e una serie di supporti predisposti permetteranno agli ospiti di condividere immagini e comunicare via Skype, software diffusissimo sviluppato da un gruppo di giovani estoni.

Lavorazione di vimini: un progetto a favore dell'arte dell'intreccio

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Il progetto "Wicker Metamorphosis" nasce nel cuore della città cilena di Chimbarongo, nota per la produzione di vimini, fibra vegetale leggera e rinnovabile da cui si producono cesti, stuoie e mobili. Appare come un’installazione artistica negli alti campi di salice, con un layout poetico ed elegante che racchiude fasi e ombre in forme geometriche pure. In realtà è un’efficace workstation ideata dallo studio Normal Architecture Studio/Domingo Arancibia per la lavorazione ed essiccazione dei vimini. L'obiettivo è la partecipazione attiva degli abitanti alla "metamorfosi’"della fibra vegetale e dei suoi processi produttivi a prezzi accettabili. È, quindi, un progetto di resistenza alla pressione di convertire le zone rurali a diverse piantagioni e mestieri più redditizi, a favore della conservazione e trasmissione dell’arte dell’intreccio.

SALICE E SABBIA PER IL PARCO GIOCHI DI VIENNA

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La coltivazione dei vimini e l’arte dell'intreccio

In Cile la coltivazione e la produzione di vimini è molto diffusa e vanta origini antichissime, specie nella città di Chimbarongo che ha avuto il suo picco di produzione nella metà del XX secolo. Oggi la conversione a colture più proficue, la perdita delle tecniche artigianali e l’assenza del commercio equo solidale stanno portando alla progressiva scomparsa della produzione e attività manifatturiere legate alle fibre naturali.

Anche se i prodotti derivanti dalle piante sono tantissimi e di largo consumo, non sono tuttavia noti i processi produttivi e le nobili origini. I vimini derivano dai giovani rami del Salix intrecciati nei periodi di disoccupazione stagionale soprattutto in inverno, periodo in cui piogge e neve rallentavano le attività nei campi. Come con le fibre di bambù, olmo e olivo, dai vimini si possono produrre oggetti utili e creativi di uso quotidiano: panieri, sedie, canestri e contenitori di vario tipo. Tagliato e scortecciato in inverno assume la colorazione bruna, mentre lasciato a macerare per tutta la stagione fredda, scortecciato ed esiccato assumerà il colore chiaro. I rami si lasciano a bagno per 3-4 ore per aumentarne la flessibilità e facilitarne la torsione.

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Il progetto della workstation di vimini

Nel 2013 furono richiesti finanziamenti pubblici per il progetto, ma nonostante il costo basso non fu selezionato. È stato realizzato in seguito autonomamente grazie proprio all’approccio costruttivo, ai materiali facilmente reperibili e alla manodopera locale. L’obiettivo è di trasformare gli abitanti della città cilena in artigiani e produttori di vimini. Le 6 fasi consequenziali sono sviluppate nell’arco di un anno in una workstation di vimini a supporto dei ogni fase lavorativa.

Un sistema efficace perché concentra in un posto tutti gli stadi del processo lavorativo della fibra naturale, in modo da ridurre gli spostamenti e aumentare considerevolmente la produzione. I progettisti definiscono due tipi di processi: naturale poiché si realizza in una proprietà terriera creando un vuoto; artificiale perché in situ si segue l'intero processo manuffaturiero. A tal fine, è richiesta una fossa (con lo sbarramento di vimini organizzati in fascette), un campo per l’essiccamento e una piattaforma libera per i processi di selezionamento e stoccaggio. 

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Le fasi produttive

Guilles Ivain ricorda che "L’architettura è il mezzo più semplice per articolare lo spazio e il tempo". Lontano da realizzazioni puramente estetiche e modulazioni plastiche, l’architettura è un mezzo per modificare le attuali concezioni del tempo e spazio, è mezzo di conoscenza e azione. Di conseguenza lo stesso complesso architettonico può variare, in parte o del tutto, a seconda della volontà degli abitanti e delle attività che contiene. In "Wicker Metamorphosis" la planimetria cambierà nei diversi mesi dell’anno in accordo ai processi metamorfici della pianta.

La proposta vuole articolare spazio e tempo: la ciclicità della lavorazione e i cambiamenti formali della fibra hanno un impatto diretto sullo spazio progettato. Le fasi si traducono in diverse caratteristiche spaziali e la stessa architettura a supporto delle pratiche lavorative è definita dai vimini.

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Fase 0: Maggio. La raccolta. Durante il mese di maggio vengono raccolte e tagliate le canne per mezzo del falcetto o seghetto. 

Fase 1: Maggio, giugno e luglio. Raccolta + macerazione. Quando si tagliano le piante, i ramoscelli si affastellano e si dispongono in una trincea con acqua per macerare. Si crea un bordo circolare attorno alla piattaforma di terra rossa.

Fase 2: Ottobre. Sbarramento + ricrescita. I germogli cambiano il colore da rosso a verde. Inizia il processo di scortecciamento.

Fase 3: Novembre. Scortecciatura + asciugatura. Le fibre sono scortecciate a mano all’interno dell’area quadrata e poi disposte sulla corte di essiccazione ruotata rispetto alla piattaforma.

Fase 4: Dicembre-Gennaio. Selezione + raccolta. Una volta che le aste sono asciutte, vengono selezionate ed assemblate in fasci, poi stoccate e trasportate fuori l'area grazie ad un percorso rettilineo.

Fase 5: Febbraio-Aprile. Coltivazione. Quando le piante crescono attorno alla piattaforma quadrata si forma un vuoto ben visibile da una vista aerea. Il progetto definisce una postazione lavorativa, un’organizzazione consequenziale e un’architettura economica, sostenibile e soprattutto facilmente replicabile dalla popolazione locale.

La facciata dinamica di una delle università più sostenibili d'Europa

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L'università di Kolding, in Danimarca, può essere eletta a tutti gli effetti la più green d'Europa grazie alla sua facciata dinamica composta da 1600 moduli mobili in acciaio forato. Tecnologia e principi di bioclimatica rendono l'edificio progettato da Henning Larsen Architects una gioiello dell'architettura.

FACCIATE DINAMICHE: GLI ESEMPI PIÙ BELLI DAL MONDO

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Henning Larsen Architects vince il suo primo premio nel 1961 per la progettazione dell’Università di Stoccolma, da allora si è cimentato di frequente nell’ambito della progettazione e realizzazione di complessi scolastici ed universitari.

Nel 2008 vince il primo premio per il progetto della sede delle facoltà di Comunicazione, Design, Cultura e Lingue della University of Southern Denmark nel Campus di Kolding. L’edificio realizzato nel 2014 è situato a Grønborg nel centro della città di Kolding , e gode di una posizione privilegiata sulle rive del fiume a poca distanza dal porto e dalla stazione. La volontà è di creare una piazza che interconnetta il fiume e le sedi delle varie istituzioni universitarie generando un legame tra la vita universitaria e la vita della città, tra interno ed esterno.

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RICERCA TECNOLOGICA E PROGETTUALE

L’edificio è frutto di un attento periodo di ricerca sia a livello tecnologico che progettuale. È un ottimo connubio tra innovazione e architettura, caratterizzato da un design moderno e una particolare attenzione e riflessioni sulla vita all’interno dell’Università che hanno portato lo studio danese a generare un spazio interno vibrante e dinamico.

I piani sono accessibili da un atrio di forma triangolare che muta ad ogni livello sia in forma che in posizione generando uno spazio suggestivo e vivo, varia pertanto l’ubicazione delle scale piano per piano, conferendo movimento alla hall e agli spazi comuni. Si genera un gioco di sfalsamenti che permette di creare delle connessioni visive tra i pianerottoli di accesso ai diversi piani, oltre a creare un ambiente architettonico dinamico, è volto ad enfatizzare gli aspetti fondamentali dell’ambiente universitario: la comunicazione e la conoscenza, nonché la ricerca e la sperimentazione. L’obiettivo è quello di generare ambienti di interconnessione e scambio, in prossimità dell’atrio, tra studenti, professori e ricercatori, allo stesso tempo vengono garantiti alcuni luoghi più privati per la contemplazione, la riflessione o la lettura nelle zone più periferiche dell’edificio.

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LA FACCIATA DINAMICA DELL'EDIFICIO

In tutto questo un ruolo fondamentale è svolto dalla luce e dall’illuminazione naturale

“La luce del giorno è un parametro importante - afferma lo studio Henning Larsen Architects - per assicurare un ottimo microclima interno e il benessere dei fruitori”.

Grandi vetrate permettono di far entrare molta luce all’interno, ma richiedono anche una schermatura per evitare un eccessivo surriscaldamento degli ambienti. La luce varia nel corso della giornata e dell’anno, è da qui che nasce l’idea di un involucro dinamico, perfettamente integrato nell’edificio, che permette di controllare e gestire luce e calore garantendo un clima ottimale e conferendo un’immagine architettonica significativa unica e variabile.

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Le facciate sono caratterizzate da vetrate continue e da 1600 moduli di forma triangolare in acciaio perforato. Gli schermi solari sono montanti su telai mobili che permettono il movimento al fine di regolare la quantità di luce desiderata all’interno degli ambienti, il sistema è dotato di sensori che misurano di continuo il livello di luce e calore regolando e muovendo meccanicamente i brises soleil attraverso un piccolo motore. Quando i moduli sono chiusi aderiscono perfettamente alla facciata creando una superficie continua, mentre quando sono aperti creano una facciata dinamica, sporgendo con le loro punte e trasformando l’edificio in un vero e proprio monumento.

Anche i fori circolari presenti sui pannelli sono il risultato di ricerche e calcoli di ingegneri e architetti che hanno stabilito il 30% come angolo di apertura ottimale sia per la schermatura che per la visuale dall’interno verso l’esterno. Durante il giorno la luce naturale filtra attraverso i fori creando giochi di luce sempre variabili all’interno, mentre la sera il gioco si inverte, quando il sole è tramontato la luce artificiale dall’interno passa attraverso i fori rendendo più trasparente la facciata proiettando le ombre verso gli spazi esterni antistanti la facoltà, portando all’esterno il mondo interno dell’Università e andando a rafforzare il concetto che è alla base del progetto: creare un’interazione e un dialogo forte tra la vita universitaria e la città.

La forma triangolare dei moduli è dovuta ad una scelta progettuale legata all’inserimento nel contesto urbano, alla forma dell’edificio e al voler creare un vero e proprio monumento per la città piuttosto che una semplice sede universitaria, diventando un simbolo ed interagendo attivamente con l’intorno.

COLORI E SOSTENIBILITÀ

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Per quanto riguarda gli aspetti legati alla sostenibilità e al risparmio energetico, lo studio Henning Larsen Architects non si è limitato solamente ad integrare questi sistemi in facciata, ma ha progettato l’intero edificio secondo principi sostenibili, garantendo un’ottima ventilazione e illuminazione naturale. L’atrio di notte viene raffrescato utilizzando l’aria esterna e di giorno viene illuminato naturalmente dal lucernario posto a sommità, inoltre un impianto di raffrescamento e riscaldamento a soffitto, che utilizza la raccolta delle acque piovane, permette di regolare le temperatura all’interno dell’edificio, mentre celle solari in copertura provvedono alla produzione di energia elettrica ed infine una serie di altre accortezze come l’uso di illuminazione led o di apparecchiature energetiche a basso consumo, fanno del Campus di Kolding una delle sedi universitarie più sostenibili di Europa.

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Un’ulteriore osservazione può essere posta sull’uso del colore. Sia all’interno che all’esterno predominano colori neutri, per le parti strutturali e per la pavimentazione così come per la maggior parte dei moduli in facciata. Tuttavia gli elementi di arredo e di design degli spazi comuni interni sono caratterizzati da colori come l’arancione, il giallo, il rosso, mentre alcuni moduli triangolari della facciata dinamica sono colorati di arancione, rosa o verde, conferendo vivacità alla facciata, la stessa vivacità che contraddistingue un ambiente universitario.


Tetti verdi: le piante più adatte ai green roof

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Il Giardino botanico di Chicago  ha reso pubblici i risultati di una ricerca sui tetti verdi con cui sono state valutate quali sono le piante più adatte ai green roof.

COME PROGETTARE UN TETTO GIARDINO

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La valutazione ha interessato ben 216 specie di piante ed è stato il più approfondito studio sull’argomento. Le piante sono state vagliate sia sui tetti verdi intensivi (strato di terra da 7 a 14 cm) sia sui tetti verdi estensivi (strato di terra da 15 a 20 cm).

Tutte le analisi e le sperimentazioni sono state condotte presso il Conservation Science Center Plant, un laboratorio certificato LEED Gold della superficie di ben 3500 mq, con due tetti verdi da 750 mq, esposti uno a nord ed uno a sud.

I laboratori posti sulle coperture riescono a monitorare:

  • La temperatura dell'aria interna appena sotto il piano di calpestio del tetto
  • Temperatura dell'aria esterna sopra del suolo e sopra il tetto rialzato
  • La temperatura del suolo a varie profondità e l'isolamento del tetto
  • Flusso di calore del suolo
  • Radiazione solare
  • Umidità e vento sopra il tetto rialzato
  • Precipitazione

Il datalogger CR1000 (collegato a due camere CR800 con rispettivi sensori) si collega alla rete Ethernet dell'edificio, e il software LoggerNet raccoglie i dati; analizzando poi le informazioni generate, i ricercatori hanno potuto determinare i benefici dei diversi tipi di giardini pensili. Si sono potuti confrontare anche i risultati di vari spessori suolo, le diverse quantità di acqua, e, soprattutto, le diverse reazioni dei vari tipi di piante. Con così tanti dati resi disponibili, i progettisti dei garden roof sono stati in grado di fare dei confronti sperimentali su altri giardini della stessa tipologia.  

I PARAMETRI DI VALUTAZIONE

I parametri di valutazione per la scelta delle piante per i tetti verdi sono stati i seguenti:

  • la sopravvivenza complessiva,
  • la salute ed il vigore
  • la tolleranza del caldo e della siccità
  • la resistenza al freddo
  • la sopravvivenza nell’intero periodo di valutazione

Richard Hawkedirettore della valutazione dell’impianto del giardino botanico di Chicago ha spiegato che “In ultima analisi, il successo del tetto verde è dovuto al successo delle piante che crescono su di esso. […] Gli studi sulle piante come quelli intrapresi qui sono fondamentali per approfondire le informazioni riguardo le piante migliori per la coltura del green roof.”

LE PIANTE PIÙ ADATTE AI TETTI VERDI

La ricerca per capire quali fossero le piante più adatte ai tetti verdi è durata cinque anni durante i quali varie piante sono state valutate.  Alla fine sono state nove specie vegetali a raggiungere il punteggio massimo (5 stelle su 5) per aver dato prova delle migliori prestazioni di sopravvivenza e di adattamento:

caption: Antennaria dioica

caption: Calamintha Nepeta ssp. Nepeta

caption: Juniperus chinensis var. sargentii ‘Viridis"

caption: Phlox sublata "Apple Blossom"

caption: Phlox subulata "Emerald Blue"

caption: Phlox subulata "Snowflake"

caption: Rhus aromatica "Gro-Low"

caption: Sporobolus heterolepis

caption: Sporobolus heterolepis "Tara"

Il Giardino Botanico di Chicago sta continuando nelle sue ricerche per trovare nuove soluzioni e fare ulteriori scoperte in merito ai Green roof. Un settore importante dell’architettura ecosostenibile e, come cita un motto dei Giardini Botanici di Chicago, "Salva le piante. Salva il pianeta".

Pachuca: la città più colorata al mondo

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Nella città di Pachuca, in Messico, nel quartiere Las Palmitas l’arcobaleno non svanisce dopo il temporale. Grazie a una iniziativa promossa dal governo locale e in collaborazione con il collettivo di artisti Germen Crew, Las Palmitas, è stata interessata da un poderoso (e colorato) lavoro di Street art che ha coinvolto 209 abitazioni e 452 famiglie, e che ha trasformato sia visivamente sia socialmente questa zona degradata della città.

Infatti, dove prima le case grigie e le vie tortuose, deserte al calar del sole, incutevano paura agli abitanti, oggi la vita è tornata ad animare quei luoghi e il timore di uscire è svanito favorendo la collaborazione e il consolidamento della comunità locale.

LA CITTÀ ROSA: TOLOSA E I SUOI EDIFICI COLORATI

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Pachuca: la città più colorata al mondo 

Ci sono voluti 14 mesi e ventimila litri di vernice per concretizzare il progetto di decorazione delle case. Larghe fasce sinuose e figure geometriche dai colori accesi costituiscono lo sfondo su cui sono stati poi disegnati persone, grandi fiori e oggetti di vario tipo. In questo modo passeggiando per le vie si possono ammirare i singoli lavori degli artisti, mentre da lontano la collina su cui sorge il quartiere appare come un gigantesco arcobaleno costituito da 1.500 metriquadrati di murales.

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Il lavoro del collettivo artistico non è consistito semplicemente nella realizzazione materiale dell’opera. Infatti, ha lavorato attivamente per convincere le famiglie a dare il permesso ad intervenire sulle proprie abitazioni bussando a ogni porta e parlando con tutti. Prima di applicare il colore alle pareti è stato necessario imbiancare ogni singolo edificio sia per una questione tecnica, sia per trasmettere il messaggio che tutti i residenti sono uguali indipendentemente dalle condizioni economiche.

Nonostante le difficoltà e la fatica per la messa in opere di un progetto così esteso, il governo e Germen Crew vorrebbero intraprendere lo stesso percorso anche in altre zone della città visto il successo riscontrato soprattutto a livello sociale e il prossimo quartiere interessato dovrebbe essere Cubitos.

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Il centro benessere nella natura: verde in facciata, sul tetto e all'interno

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Una Spa è un luogo in cui ritrovare il benessere psicofisico, rilassarsi ed eliminare lo stress, facendo percorsi termali, trattamenti e attività a contatto con l’acqua. È dunque un luogo artificiale, ideato dall’uomo, che prendendo spunto dalla natura cerca di ricreare vasche termali, fiumiciattoli di acqua fredda con ghiaia per stimolare i sensi e rilassarsi. L’architettura che ospita questi centri benessere è sovente pensata giocando con la luce e con la suggestività degli ambienti, spesso si possono ascoltare riproduzioni di suoni naturali, ci sono stanze di cromoterapia, proiezioni di luoghi naturali meravigliosi… ma cosa veramente rilassa di più se non il contatto con la natura stessa?

Partendo da questa riflessione il MIA Design Studio ha progettato il Naman Pure Spa, realizzato nel 2015 a Da Nang in Vietnam.

LA SPA IN NUOVA ZELANDA PER RIFUGIARSI NEL BENESSERE

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Il progetto di Naman spa

L’edificio si estende su una superficie di 1600 metri quadri, ha un impianto di forma rettangolare e si sviluppa su due livelli: al piano terra si trovano gli ambienti Spa, la palestra, gli spogliatoio uomo e donna, la stanza per lo Yoga, l’area Jacuzzi, l’area relax e le stanze per gli addetti; al secondo piano si trovano invece una libreria, una sala espositiva, ambienti spa e camere per trattamenti personalizzati. Sono state progettate e pensate anche delle suites in cui oltre a fruire di ambienti spa è possibile soggiornare per brevi periodi all’interno dell’edificio.

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Il patio e il raffrescamento passivo

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Tutti questi ambienti affacciano su un patio centrale nel quale aree relax si alternano a vasche di acqua collegate a quelle esterne attraverso dei piccoli canali, simili a fiumiciattoli, il tutto grazie ad un impianto di riutilizzo dell’acqua. L’immagine è quella di tanti piccoli laghetti e fiumiciattoli artificiali, ad evocare le fonti termali naturali che è possibile trovare in diversi posti del mondo. Le proprietà rilassanti dell’acqua, così come il rumore dello scorrere sono fondamentali in un centro benessere ed inoltre è utile per raffrescare gli spazi. In Vietnam il clima è tropicale pertanto prevedere sistemi naturali di raffrescamento è importante per fronteggiare i periodi di grande caldo. Il patio oltre a creare un ambiente verde ritirato, in cui è garantita privacy e relax, garantisce la ventilazione naturale di tutti gli ambienti in modo passivo.

Involucro in pannelli di lattice e moduli verdi

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Ma l’aspetto più interessante di questo edificio è il modo in cui il verde è integrato e parte integrante dell’involucro. La pelle esterna e quella interna al patio sono costituite dall’alternarsi di moduli verdi, caratterizzati da piante rampicanti di diverse specie, e pannelli in lattice bianco che vanno a scandire l’andamento verticale. Il verde si estende anche in copertura con il tetto giardino, come prosecuzione dei moduli di facciata.

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All'interno, i moduli verdi diventano dei quadri, le pareti sono composte da una varietà di specie arboree locali che con i loro fiori e profumi rendono suggestivo ogni ambiente. Le piante oltre a regolare il microclima interno alle stanze e nel patio, servono come schermatura naturale per filtrare il forte soleggiamento tropicale, andando a creare un gioco di luci ed ombre in facciata, negli spazi e nei percorsi interni. Per gli arredi interni lo stile minimal e i colori neutri lasciano spazio al verde, come unico elemento colorato e di decoro. La vegetazione prende il possesso dell’edificio, caratterizzandolo e conferendogli dinamicità. Gli spazi diventano micro oasi di pace, spazi vibranti sotto i riflessi delle foglioline. Al piano terra le piattaforme per la meditazione all’aperto e per il relax si alternano tra laghetti con ninfee e giardini pensili, i sensi vengono stimolati e pace e serenità sono assicurati!

Il padiglione della Spagna ad Expo 2015

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Un'enorme serra a doppia navata è il progetto dello studio B720 Fermín Vázquez Arquitectos, di Barcelona, per il padiglione della Spagna ad Expo Milano 2015: l’ente promotore e coordinatore dello spazio, di circa 2500 metri quadrati, è Acción Cultural Española (AC-E) che si occupa della partecipazione della Spagna alle Esposizioni Universali e ai grandi eventi globali. Partendo dal tema dell’esposizione “Nutrire il pianeta, Energia per la vita”, la doppia anima della struttura rappresenta il dualismo tra cucina tradizionale spagnola e gastronomia innovativa, cogliendo perfettamente l’occasione offerta dall’Expo per avvicinare il pubblico all’immenso patrimonio culinario e culturale spagnolo. L’equilibrio tra creatività/innovazione e tradizione è una delle chiavi del successo dell’arte culinaria spagnola, così come l’uso di agricoltura e allevamento sostenibile per la conservazione del paesaggio e per lo sviluppo di modelli di turismo alternativo.

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IL PROGETTO DEL PADIGLIONE DELLA SPAGNA

Queste due anime contrapposte sono rappresentate da due strutture assimilabili ma con trattamenti materici ben distinti, simbolo dell’incontro tra “vecchio” e “nuovo”: la gastronomia tradizionale è rappresentata da una galleria in legno dalla quale si distaccano una serie di spazi esterni, in cui vengono utilizzati materiali non consueti come tappi per vino o botti in rovere e ceste di vimini riutilizzate da un precedente impiego nella produzione dell’olio d’oliva; l’innovazione gastronomica è invece rappresentata da uno spazio racchiuso in una seconda struttura in acciaio con pareti intonacate colorate.

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La forma riprende gli hórreo – tipiche costruzioni in cui si conservavano i frutti del campo, in particolare il grano – che possono trovarsi in Galizia, regione nord-occidentale della Spagna, o l’archetipo delle tradizionali abitazioni dell’Almeria, a sud. Gli spazi delle due serre, dotati di grande fascino e flessibilità, sono affiancati da un tipico porticato della tradizione iberica, che ospita una gran quantità di alberi di arancio, uno dei numerosi simboli della cultura spagnola qui esposti: all’interno vengono presentati al visitatore i cardini della produzione enogastronomica spagnola, ponendo l’accento sulle eccellenze in fatto di qualità, sicurezza e sostenibilità dei prodotti.

Le esposizioni all’interno del padiglione spagnolo sono differenziate tra i due piani. Al piano terra il visitatore potrà esplorare un’installazione realizzata dall’artista catalano Antoni Miralda intitolata “Il Viaggio del Cibo”: una serie di valigie di diverse dimensioni proiettano nomi dei cibi tradizionali della cultura spagnola – baccalà, patate, pomodori – mentre sul pavimento vengono proiettate parole legate all’esperienza del mangiare.

Proseguendo la visita si accede ad una sala semibuia che ospita sulle pareti una serie di schermi che mostrano video, immagini e informazioni sulle tecniche e tipologie di coltivazione oltre alle proposte sostenibili offerte dalla Spagna come soluzione alla scarsa disponibilità di risorse e cibo: in questa sala l’attrazione principale è un vetro satinato su cui scorre dell’acqua e che viene illuminato con effetti di luce variabili e sul quale compaiono parole che vengono “lavate” via dall’acqua.

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Più avanti si accede in un’altra sala che senza dubbio è quella con il maggiore impatto visivo: un ampio spazio vuoto con le pareti ricoperte da migliaia di piatti rotondi su cui vengono proiettate immagini di fantastici paesaggi iberici e cibi tradizionali. Al piano superiore, una seconda mostra denominata “Il Linguaggio del Sapore” è un viaggio all’interno della mente di un cuoco spagnolo, con la volontà di trasmettere al visitatore la sua arte culinaria e le ricette gastronomiche migliori. Oltre alle due esposizioni, il padiglione ospiterà una serie di spazi pubblici tra cui un ristorante, un “bar de tapas”, una piazza pubblica ed uno spazio polifunzionale che ospiterà workshop, cooking class, conferenze e concerti, un orto didattico e una serie di giardini idroponici.

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La sostenibilità del padiglione

Il padiglione, come già specificato in precedenza, è dedicato ai cibi e ai sapori della terra spagnola caratterizzata da terreni esposti costantemente a un sole intenso e perciò spesso aridi e improduttivi, che i sapienti agricoltori ispanici hanno però saputo trasformare in giardini verdi e fertili. La sostenibilità e l’alta efficienza energetica-ambientale sono stati obiettivi primari anche del progettista stesso: è di facile comprensione la volontà di trasmettere una sensazione di moderazione e di gestione delle risorse, considerando il presente periodo storico di crisi globale, a differenza della volontà di stupire il visitatore che ha caratterizzato le precedenti versioni del padiglione spagnolo alle esposizioni universali

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Gran parte della struttura è caratterizzata da spazi semi aperti e da una copertura costituita da ampie lamelle vetrate mobili, che hanno la capacità di facilitare la ventilazione naturale lasciando uscire il calore dall’alto per effetto-camino. Forma e dimensione dei portici – che riprendono una lunga tradizione iberica – sono anch’essi pensati in posizione strategica, in modo da limitare il surriscaldamento, sempre mirando al risparmio energetico. L’edificio è realizzato con materiali riciclati o naturali ed è stato costruito interamente a secco: il legno di abete e di pino impiegato proviene da foreste certificate e tutte le componenti del padiglione possono essere riutilizzate in seguito allo smontaggio.

Solar Info Center di Friburgo: il centro servizi certificato LEED Platinum

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Il Solar Info Center (SIC) di Friburgo, in Germania, nasce dall’idea di racchiudere sotto un unico tetto figure professionali legate da un comune denominatore: operare nel campo delle energie rinnovabili.

In copertina: foto © Ingo Schneider

IL PRIMO EDIFICIO PER IL TERZIARIO CERTIFICATO LEED IN ITALIA

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Di proprietà di un investitore privato, il Solar Info Center si finanzia grazie all’affitto delle compagnie che vi hanno sede: unità indipendenti tra loro ma che potrebbero essere potenziali partners in un centro che offre consulenza sulla sostenibilità a 360 gradi.

Le sempre più restrittive normative comunitarie volte alla mitigazione dei cambiamenti climatici e la conseguente crescita del mercato delle energie rinnovabili hanno portato, agli inizi del 2000, all’idea di un centro di informazioni del settore in un luogo che fungesse da modello per aziende e potenziali clienti.

Il risultato è stato un edificio con un fabbisogno energetico del 30% inferiore rispetto ai limiti imposti dalla German Energy Saving Ordinance del 2007, ovvero il secondo edificio (in termini di punteggio) certificato LEED PLATINUM in Germania.

Il progetto del Solar Info Center di Friburgo

caption: © SIC GmbH

Collocato in una posizione strategica nella parte settentrionale della città, a completamento di un’area libera in adiacenza dell’aeroporto, tra la zona fieristica e l’università, il Solar Info Center fa della reputazione internazionale di Friburgo come Green City il suo prestigioso biglietto da visita.

Una struttura di cemento armato si innalza per 5 piani e racchiude un’area complessiva di circa 14.000 mq con spazi funzionali e flessibili che possono essere riprogettati per specifiche esigenze: 9.000 mq di uffici di varie dimensioni (dagli smart offices di 35 mq agli open space di 1.500 mq); 700 mq riservati allo svolgimento di workshops, congressi e meeting; 450 mq di area espositiva; 2.600 mq di laboratori con attrezzature all’avanguardia a disposizione sia delle aziende interne al Centro che di Istituti esterni per ricerche, produzione di prototipi, costruzione di modelli e simulazioni tecniche.

Scopri la città con Study Visit Friburgo

L’edificio dal punto di vista energetico

caption: foto da www.partyraum-freiburg.de

Volumetricamente compatto (rapporto S/V pari a 0,22) e dalla pianta ad U, l’edificio gode di un’esposizione ottimale con le “ali” orientate a sud-est.

Il sistema composito utilizzato per l’isolamento termico della facciata si alterna a vetrate continue strutturali (a montanti e traversi) mentre la copertura è del tipo “tetto caldo” con l’isolante nello strato più esterno. 

Le ottime prestazioni dell’involucro e l’introduzione di sistemi solari passivi fanno sì che il fabbisogno di riscaldamento, soddisfatto tramite una rete di teleriscaldamento proveniente dal vicino Ospedale Universitario, sia inferiore a 30 KWh/mq p.a.

Grazie ad interventi di efficientamento dell’impianto e all’inserimento di un moderno sistema di recupero di calore, per l’approvvigionamento termico del Centro Servizi non è necessario ulteriore utilizzo di combustibili fossili, così come certificato dal Centro di Ricerca dell’Università di Stoccarda: l’obiettivo di fornire calore all'edificio senza produrre emissioni è stato così raggiunto.

caption: a sinistra © Hochschule Offenburg; a destra © SIC GmbH

Un impianto fotovoltaico di 65 KW di picco è posizionato sulla copertura dell’edificio mentre sulla facciata inclinata, in corrispondenza del foyer, pannelli fotovoltaici e termici garantiscono un’adeguata schermatura dai raggi solari oltre che la produzione di energia pulita. 

Una grande quantità di luce naturale permea negli ambienti consentendo un notevole risparmio di energia elettrica. Le aperture, studiate in modo da garantire condizioni di lavoro ottimali, presentano una percentuale di superficie vetrata tale da evitare il surriscaldamento interno coadiuvate dalle schermature solari. Un sistema di controllo consente infatti la regolazione delle veneziane in funzione dell’irraggiamento e della temperatura della stanza.

caption: a sinistra © SIC GmbH; a destra foto da www.agsn.de

La qualità dell’aria durante il periodo invernale è assicurata da un sistema di ventilazione a flusso semplice che viene utilizzato anche in estate per la ventilazione notturna degli ambienti.

La climatizzazione estiva del foyer e della sala riunioni al piano terra avviene tramite 5 sonde geotermiche che vengono sfruttate anche nel periodo invernale per preriscaldare l’aria nei medesimi ambienti. 

Monitoraggio e interventi di ottimizzazione

caption: foto da www.enob.info

Il Solar Info Center di Friburgo, dopo il suo completamento alla fine del 2003, è stato sottoposto a monitoraggio allo scopo di verificare se l’edificio reale soddisfacesse le aspettative progettuali.

I risultati, sottoposti ad una lettura critica, non solo hanno dimostrato che il Solar Info Center è un ottimo esempio di edificio a basso consumo energetico con valori inferiori rispetto ai risultati attesi, ma hanno anche permesso di ottimizzare ulteriormente il complesso sistema impiantistico. 

Nei periodi più freddi dell’anno e successivamente ad un periodo di spegnimento dell’impianto (durante il fine settimana), i dati sul riscaldamento hanno mostrato un notevole abbassamento della temperatura interna con fatica a tornare a regime (3 giorni).

Per far fronte al maggiore fabbisogno di energia, la temperatura interna, inizialmente costante, è stata innalzata di 15 K nelle le prime due ore della mattina e il tempo di funzionamento dell’impianto è stato incrementato di un’ora: le stanze hanno così raggiunto la temperatura interna desiderata all’inizio della settimana. 

Importanti misure di ottimizzazione sono state introdotte nel sistema di ventilazione con lo scopo di ridurre al minimo i ricambi di aria quando la temperatura esterna è bassa senza però compromettere la salubrità degli ambienti. Nel periodo estivo invece, l’inserimento di un sistema di gestione dinamico sviluppato dall’Università di Scienze Applicate di Offenburg consente di modulare l’intensità della ventilazione notturna con un risparmio di energia del 38%. 

Il monitoraggio ha consentito inoltre di allineare i sensori di radiazione delle veneziane in maniera ottimale mentre un impulso inverso regola l’apertura quando la persiana è completamente chiusa facendo sì che l’ambiente non sia completamente al buio. 

Al fine di evitare il surriscaldamento a lungo termine del terreno, correzioni sono state apportate al settaggio dell’impianto di raffrescamento a pavimento nella zona del foyer. Il sistema, con onde geotermiche che arrivano fino a 80 m di profondità, si attiva solamente quando la temperatura delle stanze supera i 24°C e la temperatura esterna è oltre i 26°C; nelle facciate sud e ovest inoltre, l’irraggiamento deve superare i 150 W/mq. 

La Certificazione LEED Platinum

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Nel settembre del 2013 il Solar Info Center di Friburgo ha ottenuto la certificazione LEED Platinum. Con un punteggio di 92 punti su 110 totali è il secondo edificio tedesco più alto in classifica nella categoria “LEED Existing Buildings: Operations and Maintenance”. 

Oltre alle alte performances garantite da involucro ed impianti, ha fatto la differenza “l’efficienza delle acque”, categoria in cui il SIC ha ottenuto pieno punteggio. L’acqua piovana che penetra nel terreno, viene drenata mediante canali e raccolta in apposite cisterne. Utilizzata per l’irrigazione del terreno, riesce a coprire il 100% del fabbisogno senza l’utilizzo di acqua potabile.

Grazie al processo di certificazione e alle procedure di accompagnamento, le tecniche ed i sistemi di ottimizzazione di energia consentono un elevato risparmio nei consumi e quindi di denaro. La certificazione LEED ha comportato dunque un aumento del valore economico dell’edificio oltre che della sua affidabilità a livello internazionale.

Il Centro Servizi rappresenta un esempio tangibile che progettisti e aziende che vi hanno sede possono mostrare ai potenziali clienti a dimostrazione di come sia possibile operare nel campo delle energie rinnovabili con successo: perché “un grammo di buon esempio vale più di quintali di parole”.

Casa semi-ipogea a Marostica

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Nel comune di Marostica (VI), addossata al crinale della collina, sorge un’abitazione dall’aspetto non convenzionale. A un primo rapido sguardo il manufatto non sembra una casa, ma un muro di contenimento per il terreno scosceso. Infatti, il progetto semi-ipogeo dell’architetto Dario Scanavacca prende vita dalla rielaborazione del tema della “masiera”, il tipico muretto a secco per terrazzamenti di questa zona montana, in modo da creare una sinergia tra il contesto, il rispetto della tradizione e l’evoluzione tecnologica.

CASE IPOGEE: COME E PERCHÈ

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IL PROGETTO DELLA CASA SEMI IPOGEA

La casa cerca di sfruttare al meglio le potenzialità del lotto fortemente inclinato esposto a Sud. La costruzione risulta semi-ipogea e i tre livelli, su cui sono distribuite la zona giorno e la zona notte, sono sfalsati in modo da creare una serie di giardini pensili.  In questo modo, la collina, che accoglie la casa, contribuisce, durante tutte le stagioni, al mantenimento del comfort ambientale interno: durante i mesi invernali le dispersioni sono ridotte e l’unico fronte esposto a Sud cattura il calore del sole, mentre durante l’estate il terreno e i tetti giardino non assorbono calore e contribuiscono a non surriscaldare gli spazi abitati. Inoltre, sono stati installati sia pannelli fotovoltaici sia pannelli solari: l’energia elettrica totale prodotta è pari a 6,0 kWp, mentre un accumulatore permette di stoccare 600 litri di acqua calda utilizzabile sia per usi domestici sia per il riscaldamento. 

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Grandi aperture vetrate protette da frangisole caratterizzano l’unico prospetto della casa aperto verso la vallata in prossimità del quale sono stati posizionati il soggiorno, la cucina e le camere, mentre gli ambienti di servizio e i collegamenti verticali sono stati collocati nella parte ipogea areata e illuminata da alcuni lucernari. Il risultato così ottenuto è un muro “abitato”.

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Architettura utopica: i progetti sostenibili di Vincent Callebaut

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La connessione tra architettura e utopia, nella cultura occidentale, è caratterizzata da fondamenta molto radicate.

L’utopia è prima di tutto il progetto di una società ideale; possiamo trovare riferimento a luoghi felici nel dialogo platonico della città ideale, ma solo con Thomas More, XVI secolo, venne introdotto il senso del termine com’è conosciuto oggi. Oggi l'opera visionaria di Vincent Callebaut unisce ricerca formale alla riflessione sui temi dell'ecologia.

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L'architettura utopica nel passato

Platone faceva riferimento a progetti che avrebbero dovuto tenere conto di tutti gli aspetti delle attività umane, compreso il rapporto con la natura, descrivendo un’architettura in armonia con quella greca del suo tempo.

More, invece, nei suoi trattati spiega di trovarsi in disaccordo con l’architettura moderna, che a suo giudizio simboleggiava unicamente le strutture di potere. Le sue idee per la realizzazione di una società utopica variano continuamente, trovandosi spesso a contestare/proporre l’ornamento in genere, e quello prodotto dalla presenza della natura.

Se spostiamo lo sguardo all’attività architettonica più recente, possiamo trovare alcuni riferimenti tra i progetti dei pionieri dell’architettura contemporanea. L’organico Wright progetta la sua Usonia per descrivere un particolare Nuovo Mondo libero da tutte le precedenti convenzioni architettoniche, Le Corbusier studia una città con tre milioni di abitanti, standardizzata fin nei minimi spazi, mentre Sant’Elia nel 1914, con La Città Nuova, riesce ad esaltare il concetto della verticalità con disegni di grattacieli che mettono in relazione tra loro servizi e funzioni.

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Questi tre studiosi, resisi conto delle enormi potenzialità di una progettazione consapevole propongono alcune idee per modificare lo sviluppo della società. Anche se molto distanti tra loro, per forme e concezioni, i loro progetti, mirano al cambiamento di un sistema antropico che si è evoluto in un modo insostenibile, e che viene ritenuto il principale responsabile della crisi ecologica globale.

Il principio utopico utilizzato in architettura, si trova oggi, spesso accostato al prefisso eco. Il tema di questa programmazione ideale, e forse troppo futuristica, viene portato avanti dagli anni Ottanta da Jacque Fresco e dal suo “The Venus Project”

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Noi, come architetti e progettisti del XXI secolo, dobbiamo tentare di accelerare il processo naturale e cicatrizzare le ferite degli ecosistemi attraverso tecniche pluridisciplinari di architettura e ingegneria ecologica. Di fronte all'esaurimento delle risorse naturali, la distruzione degli ecosistemi, la riduzione della biodiversità, l'inquinamento delle acque, la concentrazione del gas ad effetto serra e il riscaldamento globale, si possono trovare efficaci strumenti di rinaturalizzazione come le energie rinnovabili (solare, eolica, idraulica, geotermica) e le biotecnologie (bio-mimetismo, bio-risanamento, genetica).

I progetti utopici e sostenibili di Vincent Callebaut

Nonostante i progetti di Fresco risultino ancora oggi molto avvincenti e futuristici, immagino che pochi rimarranno impassibili davanti ai progetti di Vincent Callebaut. I concetti espressi, le analisi e le interazioni tra gli elementi, naturali e artificiali, all’interno dei suoi progetti, lo rendono l’architetto eco-utopico più attivo dei nostri tempi. Tutti i suoi progetti sono riconoscibili poiché presentano forme d’avanguardia e pongono una “maniacale” attenzione alle tematiche ambientali.

Hydrogenase

Hydrogenase, ad esempio, è un progetto dello studio parigino di Callebaut, per la zona meridionale del mare della Cina. Questi complessi che si attestano tra ingegneria e biologia, saranno energeticamente autosufficienti e a zero emissioni di carbonio. Attraverso l’utilizzo dell’Idrogeno, ottenuto dalla fotosintesi di alcune alghe, questi edifici saranno in grado di sollevarsi e spostarsi dalla loro piattaforma (costruibile in qualsiasi punto del globo, oceano o deserto che sia). Si stima che queste fattorie di micro-alghe saranno in grado di produrre oltre 1000 litri di Idrogeno ogni 330 grammi di clorofilla (un ettaro di alghe potrebbe produrre 120 volte il quantitativo di biocarburanti prodotto da un ettaro di soia o di girasole). Inoltre, una fattoria di alghe è una vera e propria stazione in miniatura capace di assorbire grandi quantità di CO2 accelerando il processo di fotosintesi, e consumando oltre l’80% del gas carbonico prodotto dal complesso. L’edificio si ispira alle tecnologie della biomimetica e vanta un leggerissimo e resistentissimo materiale composito (fibra di vetro e carbonio) che ha lo scopo di ridurre al massimo il peso della sua struttura. La pelle del complesso, sarà composta da strati intelligenti, ispirati alla pelle dello squalo che oltre ad essere autopulenti, soddisfano i requisiti di sostenibilità.

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La struttura della torre pneumatica, è composta da quattro grandi archi, che in superficie sono coperti da scudi solari termici e fotovoltaici con integrate 20 pale eoliche che passando dalla normale posizione verticale, alla posizione orizzontale, sono in grado di far decollare il dirigibile e farlo spostare ad un massimo di 175 km/h, per distanze massime di 10.000 km a 2000 metri di altezza.

Sotto la piattaforma, trovano alloggiamento 32 idro-turbine che trasformano l’energia delle maree e delle correnti marine in energia elettrica.

Questo dirigibile semirigido non pressurizzato si estende verticalmente attorno ad una colonna vertebrale di 400 m di altezza, con archi che arrivano a ricoprire oltre 180 m di diametro, il tutto a formare come un grande fiore, che divide a croce i vari spazi che accoglie abitazioni, uffici, laboratori scientifici o di intrattenimento. Sul gambo trovano spazio i servizi per gli spostamenti verticali, i locali tecnici e i magazzini merci.

Questo progetto segna inoltre l’inizio di una nuova era per i dirigibili ibridi, può essere costruito e quindi utilizzato per missioni umanitarie, operazioni di soccorso, trasporto aereo, eco turismo, hotel e sorveglianza delle acque territoriali.

I progetti di Lilypad, Dragonfly e Flavours Orchard

In caso il tema vi abbia incuriosito a dovere, consiglierei di visitare il sito di Vincent Callebaut e leggere le schede progettuali di Lilypad, Dragonfly e Flavours Orchard.

Il sito, inoltre, nella sezione "Profile", raccoglie una serie di saggi che vi porteranno a capire l’essenza del lavoro dell’architetto e vi trasporteranno in un fantastico sogno eco-utopico.

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La domotica per una gestione intelligente dell’edificio. Tutti i vantaggi

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Spesso, erroneamente, si crede che una progettazione architettonica attenta sia sufficiente a garantire una riduzione dei consumi energetici degli edifici. Si sottovalutano gli aspetti di gestione, talvolta responsabili di ingenti perdite di calore e di elevati consumi energetici.

L’utente, che utilizza l’edificio e lo gestisce (dal semplice gesto di apertura e chiusura delle finestre alla scelta dell’accensione del riscaldamento) è responsabile tanto quanto il progettista del successo (in termini energetici) del progetto.

In copertina: Female hand holding black mobile smart phone di Alexey Boldin, via Shuttersock.

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L’utente e la gestione dell’edificio: il caso del Quartiere Casanova

In tal senso è rilevante il caso del Quartiere Casanova di Bolzano, un progetto modello di 950 appartamenti, tutti certificati in classe A, con consumi che si discostavano così tanto da quelli di progetto da portare l’EURAC, Istituto per le energie rinnovabili di Bolzano, ad effettuare una verifica. È stato rilevato che gli appartamenti non presentavano alcune pecche dal punto di vista progettuale: erano stati realizzati secondo disegni e specifiche elaborati dagli architetti, ma le abitudini degli inquilini (l’errata regolazione dei termostati, l’arbitraria apertura di finestre e lo spreco d’acqua) erano tali da giustificare i consumi extra.

La domotica per una gestione intelligente dell’edificio

Gestendo l’edificio in modo più efficace se ne potrebbero controllare e ridurre i consumi, con un conseguente beneficio in termini economici ed ambientali. È per questo e non solo che nasce la domotica: la disciplina che studia e sviluppa le tecnologie in grado di migliorare i livelli di comfort nelle abitazioni, ridurre gli sprechi energetici e rendere le abitazioni più sicure. La domotica, in sintesi, ottimizza la fruizione del proprio habitat.

Altri vantaggi di un impianto domotico

  • Sicurezza – con la domotica è possibile registrare delle informazioni sull’edificio che ne aumentino il livello di sicurezza. Per esempio, impostando la chiusura automatica delle valvole che comandano la fuoriuscita dell’acqua e spegnendo le prese che controllano gli elettrodomestici si può bloccare un allagamento ed evitare che causi danni ingenti. Un impianto anti intrusione con sensori di movimento, di volume o infrarossi, allarmi telefonici e satellitari, può scongiurare il rischio di un furto in abitazione. Anche gli ingressi all’abitazione possono essere regolati come indicato a questa pagina dove trovare tutto sull’automazione cancelli. Anche delle fughe di gas possono essere bloccate, il sistema di ventilazione attivato, le finestre aperte, le prese comandate bloccate per evitare esplosioni; 
  • Accessibilità – la domotica può aiutare le persone disabili, gli anziani e chi ha una ridotta capacità motoria a compiere le azioni quotidiane con più semplicità. Basti pensare a sistemi a comando vocale per attivare apparecchi elettronici, accendere le luci, spegnere l’aria condizionata, o ad unità programmabili collegate a carrozzine o letti elettrici con cui controllare non solo la propria mobilità ma anche l’ambiente circostante, per una maggiore autonomia; 
  • Intrattenimento – attraverso telecomandi, pannelli touch screen, ma anche dal proprio cellulare, è possibile gestire una serie di servizi per l’intrattenimento come l’impianto audio della casa, l’home theater, l’accesso ad internet, la registrazione di programmi in tv.
  • Risparmio energetico – con la domotica e la gestione intelligente di apparecchiature per la climatizzazione, impianti ed elettrodomestici, è possibile risparmiare energia.

Domotica e risparmio energetico

Con la domotica è possibile per esempio attivare apparecchiature ed impianti solo in determinate circostanze o in precisati orari così da risparmiare energia e denaro. È il caso degli elettrodomestici, per cui è possibile stabilire l’accesione solo in alcune fasce orarie, o dell’impianto di riscaldamento, che può essere impostato in modo che si attivi solo per determinate temperature. Anche i sensori di presenza che attivano le luci della casa sono parte della domotica, come pure un sistema per cui, superato il tetto massimo di spesa mensile, le apparecchiature elettroniche si disattivano in un ordine stabilito. Sono solo alcuni esempi del risparmio energetico che si può ottenere sfruttando la domotica.

Tale risparmio energetico è misurabile con un sistema introdotto dalla norma CEN UNI EN15232 “Energy performance of buildings-Impact of Building Automation, Controls and Building Management” (Prestazione energetica degli edifici – Incidenza dell’automazione. La norma evidenza come i sistemi di controllo e automazione degli edifici, agendo principalmente su riscaldamento e raffrescamento, ventilazione, produzione di acqua calda e illuminazione, comportino una riduzione dei consumi energetici.

La norma propone due metodi di calcolo: calcolo dettagliato e quello più semplice e diffuso che è il “Metodo dei coefficienti di correzione” (BAC factors) basato su simulazioni e rilievi sperimentali, offre un accettabile grado di approssimazione.

La ristrutturazione delle scuole

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Il tema del risparmio energetico al giorno d’oggi è applicato a diversi aspetti della nostra vita quotidiana: dal settore abitativo a quello pubblico, non è più ormai interesse esclusivo delle grandi aziende ma si mira a ridurre gli sprechi di energia attraverso strategie adottate anche da piccole e medie imprese e grazie al know-how dei tecnici che sempre più sono attenti alle continue evoluzioni ed esigenze impiantistiche e strutturali degli edifici.

In merito alla riduzione dei costi dei consumi in bolletta degli edifici del settore scolastico – tra quelli maggiormente penalizzati – abbiamo recensito un nuovo testo di recente edizione: "La Ristrutturazione delle scuole. Soluzioni strutturali, impiantistiche e per il risparmio energetico", di Eleonora Oletto, Moira Picotti.

LIBRI CONSIGLIATI: LA CERTIFICAZIONE ENERGETICA E METODOLOGIE DI CALCOLO

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La Ristrutturazione delle scuole. Soluzioni strutturali, impiantistiche e per il risparmio energetico è l’ultima pubblicazione della Flaccovio sulla ristrutturazione delle scuole.

Il settore dell’edilizia scolastica è oggi più che mai di attualità e rappresenta per il nostro paese un problema al fine di rendere finalmente accettabile la situazione di cattiva fruizione del patrimonio pubblico costruito.

Il testo illustra una metodologia valida per offrire soluzioni adatte a risolvere le “pecche progettuali” che rendono carenti le scuole dal punto di vista energetico e del comfort degli utenti. In tal modo i progettisti potranno ottenere indicazioni operative e soluzioni per poter procedere alla ristrutturazione e alla riqualificazione degli edifici scolastici in modo programmato, ottimizzando l'impiego di risorse e considerando le esigenze degli utenti e l'evoluzione dell'attività didattica. Nel complesso si tratta di un’utile guida per il progettista alle prese con questioni di ristrutturazione e in cerca di soluzioni tecniche di intervento strutturale.

Fra tutti molto utile è il capitolo dedicato alla “Gestione del cantiere negli edifici esistenti” in cui vengono dati suggerimenti sulla gestione della sicurezza della fase di cantiere.

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Nello specifico, il testo sulla ristrutturazione scuole vuole fornire indicazioni di intervento su questa tipologia di edifici per ottenere risultati che incrementino la qualità dell’edificio stesso e che siano utili a migliorare la fase di gestione delle risorse economiche che gli enti pubblici hanno a loro disposizione per gli interventi e per la gestione successiva.

Si tratta di un testo sintetico che tuttavia fornisce una traccia dei principali argomenti da affrontare nel caso ci si debba occupare di ristrutturazioni scolastiche finalizzate al risparmio energetico, dando spunto per gli approfondimenti specifici affrontati e indirizzando il lettore agli approfondimenti indicati nella bibliografia e nella sitografia riportate in coda al volume.

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Scheda tecnica del libro

Titolo:  La Ristrutturazione delle scuole. Soluzioni strutturali, impiantistiche e per il risparmio energetico
Editore: Dario Flaccovio Editore – collana Energia
Pagine: 140
Data pubblicazione: Luglio 2015
Autori: Eleonora Oletto, Moira Picotti
ISBN: 9788857904894
Lingua: Italiano 

Autori

Eleonora Oletto: Laureata presso l'Istituto Universitario di Architettura di Venezia, opera da tempo in qualità di libero professionista come consulente e progettista nel settore dell’edilizia sostenibile. Ha curato e scritto diverse pubblicazioni tra cui “Guida agli isolanti naturali”, “Edifici scolastici ecocompatibili”, “Efficienza energetica e sostenibilità”.

Moira Picotti: Ha conseguito una laurea Magistrale in Ingegneria Civile presso l’Università degli Studi di Udine, con principali abilità in ingegneria strutturale, strade e pianificazione territoriale. Attualmente è membro della Commissione Energia e Ambiente dell’Ordine degli Ingegneri di Udine. È consulente e tecnico ambientale nell’ambito dei settori: scarichi, emissioni in atmosfera e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Scarica l’abstract

Padiglione della Germania ad Expo 2015: "Fields of ideas"

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Fields of ideas” che tradotto vuol dire i “Campi delle idee” ben sintetizza il contenuto del Padiglione della Germania per Expo Milano 2015. L’architettura ed il masterplan sono stati progettati dallo studio tedesco Schmidhuber, l’allestimento è opera di Milla und Partners mentre la gestione del progetto e della realizzazione sono stati curati dallo studio Nussli.

Alcuni di loro avevano già curato il padiglione della Germania ad Expo Shangai 2010, Milla und Partners sarà probabilmente coinvolto per il padiglione tedesco dell’Esposizione di Astana 2017.

IL PADIGLIONE DELLA SPAGNA AD EXPO 2015

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FIELDS OF IDEAS: I CAMPI DELLE IDEE

Il pragmatismo tedesco ha portato anche questa volta ad un grande risultato, centrando appieno il tema di Expo 2015 “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. 

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L’architettura del padiglione vuole richiamare i campi ed i paesaggi rurali tedeschi, come elemento della sua cultura, ma allo stesso tempo il concetto di Campo viene esteso alle idee, alla creatività e alle professionalità che ogni giorno si impegnano per costruire un mondo ed un futuro migliore. L’idea stilizzata del campo si estende all’uso dei materiali, i diversi tipi di legno utilizzati, con la varietà dei loro colori e del loro aspetto, contribuiscono a caratterizzare il design degli spazi.

GLI ALBERI SOLARI 

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Così all’esterno una rampa in legno invita i passanti a risalirla arrivando alla terrazza dalla quale è possibile ammirare l’esposizione universale, e dove grandi alberi composti da acciaio e moduli fotovoltaici, crescono creando zone di relax ombreggiate. Gli alberi prendono vita dal suolo, creando pozzi di luce all’interno del padiglione e zone d’ombra all’esterno, permettono di creare una connessione visiva tra i visitatori tra un piano e l’altro ed esattamente come gli alberi attraverso la fotosintesi trasformano l’energia solare, i moduli fotovoltaici OPV utilizzano la radiazione solare per generare energia elettrica che viene immagazzinata in un sistema posto alla base di ciascun albero, e riutilizzata di notte per l’illuminazione led degli alberi stessi. È come un circuito chiuso che provvede a se stesso autonomamente. I moduli, una volta terminata l’esposizione universale, verranno smontati e riutilizzati.

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La Germania, patria di grandi filosofi, non poteva non creare un nesso tra l’esposizione, gli spazi ed i contenuti conferendo un significato ad ogni singolo elemento. È come se questi alberi nascessero da un terreno fertile, il terreno delle idee, la loro forma organica vuole essere un richiamo al mondo delle innovazioni che sempre più prende spunto dalla natura. Ci troviamo quindi nel percorso interno del padiglione, in cui la Germania ci racconta come si è mossa e come si sta muovendo per migliorare e rispettare l’ambiente. Ci parla dei suoi eroi quotidiani: allevatori, agricoltori, agronomi, ingegner,i ecc. ogni professionalità contribuisce ai progressi che la Germania fa per coltivare ed allevare rispettando l’ambiente e per ideare e produrre risorse rinnovabili.

SPAZI ED ALLESTIMENTI INTERATTIVI

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Architettura ed allestimento si fondono in un connubio perfetto, ogni spazio è pensato per ricevere un’esposizione precisa e il risultato sono tanto divertimento ed apprendimento. La curiosità dei visitatori è stimolata di continuo, dai più piccoli ai più grandi. Tutti giocano ed interagiscono attivamente con il padiglione. Ebbene sì, “attivamente” è proprio questo il messaggio che la Germania vuole mandare, ognuno di noi deve essere attivo e deve dare il suo apporto con le proprie competenze e possibilità per migliorare il mondo in cui viviamo.

LA SEADBOARD LA TAVOLETTA IN CARTA PER INTERAGIRE CON L’ESPOSIZIONE

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All’ingresso viene fornita la “SeedBoard”, una tavoletta composta da un foglio di carta bianca su cartoncino. Il foglio di carta diventa lo strumento di interazione tra i visitatori e le sale espositive, il campo delle idee su cui ogni persona è invitata a riflettere e con il quale può interagire.

Nella prima parte dell’allestimento vi sono quattro aree tematiche: terra, acqua, clima e biodiversità. Grazie alla tavoletta è possibile conoscere i paesaggi tedeschi, gli studi che stanno portando avanti e molto altro ancora. Un gioco virtuale molto simpatico, posto vicino ai grandi alberi, ci fa capire quanto sia importante rispettare i tempi propri della natura e quanto sia importante collaborare insieme: al piano superiore i visitatori accostandosi alla piattaforma, aumentano l’allevamento fittizio di api che può essere utilizzato al piano inferiore dai visitatori che devono usare le stesse per impollinare e far crescere le piante. Mentre questa prima parte è legata molto anche alla tecnologia, il “mio giardino delle idee” è invece uno spazio in cui è possibile interagire direttamente con l’ambiente, ci si ritrova immersi dal verde, piante, fiori, piccole curiosità e consigli per la coltivazione personale sono posti vicino alle diverse piante.

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Ed infine lo spettacolo BEeActive, in cui la SeadBoard si trasforma in strumento musicale.

Il titolo dello spettacolo vuole suggerirci di essere attivi (Be active), esattamente come fanno le api (dall’inglese bee = ape), tema per altro ricorrente anche nel padiglione inglese, bisogna giorno dopo giorno impegnarsi tutti insieme e collaborare per costruire un mondo migliore, in cui si rispetta la terra e le sue risorse, in cui la creatività e l’inventiva siano alla base di sistemi innovativi per il risparmio energetico e la tutela dell’ambiente. Vivere in un mondo green, coltivando con tecniche non nocive per i terreni, allevando in modo naturale ed investendo sulle energie rinnovabili.

Caminetti a bioetanolo: funzionamento, efficienza, normativa italiana

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Ogni inverno si pensa a strategie da adottate nelle abitazioni per riscaldarle e mantenerle calde evitando grandi sforzi economici, oltre che cercando di contribuire alla riduzione di emissioni di CO2 e di polveri sottili in atmosfera. I caminetti a bioetanolo sono un'ottima soluzione da integrare al preesistente sistema di riscaldamento, per il basso impatto ambientale e il valore estetico che aggiunge agli ambienti domestici.

COME SCEGLIERE IL SISTEMA DI RISCALDAMENTO PIÙ ADATTO

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In Italia si stima che ogni anno siano circa 20.000 i casi di incendio legati a malfunzionamento di stufe e caminetti. A fronte di questi dati, prima dell’inizio della stagione invernale occorre manutenere o quantomeno revisionare il sistema di riscaldamento per evitare danni. Oggi il mercato offre soluzioni di diversa tipologia per chi pensa ad un nuovo impianto domestico: tra queste il cosiddetto caminetto ecologico.

Sul mercato ormai ve ne sono molte varietà che si differenziano tra loro soprattutto in termini di efficienza e impatto ambientale ma anche per altri particolari. 

Tra le opzioni più complete c’è la possibilità di installare camini o stufe connessi a canalizzazioni che permettono di diffondere il calore in tutti gli ambienti, senza disperdere i benefici della combustione. 

I caminetti a bioetanolo

Rispetto a tutti gli altri sistemi di riscaldamento di tipo “bio”, i caminetti a bioetanolo sono quelli che possono essere definiti “ecologici” poichè alimentati da una fonte che non aggiunge nell’aria prodotti nocivi derivanti dalla combustione del petrolio, carbone, gas, né polveri sottili derivanti dalla combustione delle biomasse solide quali legna, pellet, ecc.

Se la scelta dell’impianto riguarda, oltre che un’integrazione del sistema di riscaldamento anche un valore dal punto di vista estetico allora il caminetto ecologico a bio etanolo è l’ideale, visto che non ha la pretesa di risolvere il problema riscaldamento: non è infatti progettato per sostituirsi ad un impianto di riscaldamento completo, bensì è un'ottima integrazione a basso costo, che permette di riscaldare ambienti domestici specifici, senza l’incomodo di dover trasportare legna o avere una canna fumaria di dimensioni notevoli e sempre pulita per consentire il tiraggio, unendo così funzionalità e valore estetico .

I caminetti ecologici  sono sistemi a fiamma libera che richiedono una presa d'aria esterna per apportare il necessario ricambio di ossigeno all'interno degli ambienti. 

Il funzionamento dei camini a bioetanolo

Il bioetanolo è composto da alcool etilico denaturato ottenuto attraverso la fermentazione di biomasse dalla quale si ottengono sostanze zuccherine di origine vegetali (patate, mais, vinacce, barbabietola da zucchero etc…).

Il funzionamento del caminetto a bioetanolo segue ilprincipio della vecchia spiritiera (o fornello ad alcool): l'alcool è contenuto in un serbatoio mentre pietre porose, che funzionano come il tradizionale stoppino, sono imbevute di questa sostanza consentendo la combustione dei suoi vapori.

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Si tratta di una combustione che genera solo CO2 e vapore acqueo, perciò i caminetti ecologici non necessitano di canna fumaria.

Inoltre la resa calorifica è enorme visto che le tradizionali canne fumarie portano fuori oltre ai prodotti di combustione anche una notevole quantità del calore prodotto dalla combustione. In genere:

  • 1 Litro di bio etanolo produce una fiamma che dura dalle 3 alle 5 ore in base tipo di bruciatore;
  • 1 Litro di Bio combustibile produce circa 3-4 kW/h.

 Tipologie di camini a bioetanolo

In commercio sono disponibili molti modelli di caminetti a bioetanolo, ma il campo si restringere a tre tipologie fondamentali:

  • caminetti a bioetanolo da terra (a ridosso di una parete)

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  • caminetti a bioetanolo ad isola (posizionabili in qualsiasi punto del pavimento di un ambiente e, all’occorrenza, dotati di ruote per essere spostati);

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  • caminetti a bioetanolo sospesi (a ridosso di pareti o collocati in posizione sospesa come se fossero dei quadri);

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La sicurezza dei caminetti a bioetanolo

Come si è evidenziato, i caminetti ecologici necessitano di una presa di aria esterna, visto che la combustione è in grado di consumare a lungo andare l’ossigeno.

I caminetti ecologici, infatti, non sono particolarmente complicati da installare e l’installazione può essere fatta a cura dell’acquirente, poiché sono dotati di elementi singoli assemblabili in maniera semplice seguendo le istruzioni date dal fornitore, salvo che non ci sia necessità di effettuare particolari lavori di preinstallazione, come opere murarie.

La normativa italiana

Il CTI - Comitato Termotecnico Italiano ha messo a punto la norma UNI 11518 che regola i requisiti di sicurezza, le caratteristiche, i metodi di prova e le indicazioni tecniche e funzionali dei camini a bioetanolo in forma liquida o gel, utilizzati a scopo decorativo e con funzionamento intermittente.

Quando acquistate questi apparecchi, verificate che abbiano  l'etichettattura e la documentazione che ne attesti la conformità alla norma UNI 11518, la placca segnaletica delle caratteristiche dell'apparecchio (consumo orario, tipo di combustibile, nome e indirizzo del fabbricante), la placchetta di sicurezza che fornisce informazioni sul caricamento (posta vicino al serbatoio) e i relativi manuali di manutenzione, installazione ed uso.

Eco villaggio in Sardegna: materiali e cibi bio. Bannati fumo e smartphones

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Sardinna Antiga è un bio-villaggio ecosostenibile situato sulla costa nord-orientale della Sardegna, in una vallata solitaria, tra la campagna e il mare di Santa Lucia di Siniscola, in località Sa Petra e S’Ape. Stupefacente esempio di albergo diffuso, recupera un antico villaggio abbandonato dagli anni ’50, trasformandolo in un posto accogliente e rilassante, dove gustare cibo biologico e sono banditi smartphone e sigarette.

ARCHITETTURA TRADIZIONALE DELLA SARDEGNA: LE BARACCAS

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LA STORIA DELL'ECO VILLAGGIO

Successivamente all’acquisto del terreno, durante le operazioni di pulizia, i proprietari di Sardinna Antiga hanno rinvenuto all’interno di cespugli e piante arbustive, diversi muretti a secco circolari, con all’interno dei tronchi d’albero disposti a raggiera. Pulendo a fondo ed estirpando le erbacce hanno iniziato a comprendere che forse quel che avevano trovato durante le operazioni di pulizia non erano dei semplici recinti, ma un vero e proprio villaggio di pastori, abitato fino agli anni Quaranta e in seguito abbandonato.
Con l’aiuto degli organi territoriali del MiBACT e la memoria storica e le testimonianze degli anziani, si è così iniziato a ricostruire questo antico villaggio, fino ad arrivare ad un vero e proprio ripristino tipologico.

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LE COSTRUZIONI TIPICHE SARDE

Il villaggio di “pinnattoso” (plurale di “pinnattu” in dialetto locale) che era abitato fino a circa settanta anni fa viene così recuperato, rispettando la collocazione originale delle costruzioni e riscoprendo la tradizione e la cultura locale: le tecniche ecosostenibili artigianali tradizionali vengono integrate alle tecniche moderne – per la soddisfazione dei requisiti della normativa vigente – adoperando materiali, assolutamente naturali e reperiti in loco, reimpiegando anche quelli utilizzati dagli antichi abitanti. 

Le sue abitazioni uniche si rifanno per forma e materiali utilizzati all’architettura vernacolare delle capanne nuragiche: queste antiche costruzioni pastorali, tipiche della Sardegna centro-orientale, sono costruite con la base, che può essere circolare o rettangolare, in pietra a secco e la copertura in rami di legno, canne e frasche. Tradizionalmente venivano utilizzate in terre selvagge o poco accessibili per il pernottamento o per il deposito di vivande o materiali utili all’allevamento del bestiame.

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Le capanne non hanno fondazioni ed il terreno su cui insiste la struttura, essenzialmente semplice, è stato spianato con strumenti tradizionali. Dal punto di vista strutturale, gli edifici sono sostenuti da pilastri e travi realizzati con tronchi e rami d’albero non lavorati. I pilastri di circa 15 cm di diametro, sono infissi nel terreno e disposti circolarmente ad una distanza di circa 150 cm: ogni pilastro è collegato al successivo mediante tavole in legno, in modo da renderli collaboranti nell’assorbimento del peso della copertura. Da ognuno di essi, alto circa 150 cm, parte una trave, con una sezione media di 10 cm e una pendenza di circa il 60% (circa 30°): tutte le travi confluiscono in un tronco d’albero che funge da chiave di volta e permette alla copertura di non collassare.

A rivestimento esterno della struttura è stato poi ricomposto il muro a secco di pietra, con uno spessore medio di 40 cm, che collabora dal punto di vista statico con il sistema travi-pilastri. Le travi sono unite da canne, che diventano un vero e proprio rivestimento interno mentre all’esterno è posto uno strato di tavolato, lasciando un’intercapedine per la ventilazione di spessore variabile. Sopra il tavolato viene disposto un telo impermeabile, sul quale vengono poggiate ulteriori canne e paglia come rivestimento esterno. Il rivestimento interno è anch’esso composto da uno strato di canne su cui viene spruzzato un intonaco di terra cruda. La pavimentazione, in tavole di legno è sopraelevata rispetto a un sistema di areazione sottopavimento che poggia direttamente sul terreno roccioso del villaggio.

CRITERI BIOCLIMATICI E RISPARMIO DELLE RISORSE

Nonostante gli alloggi siano privi di impianti di climatizzazione e il clima sia estremamente caldo nel periodo estivo, la temperatura all’interno degli alloggi rimane vicina alle condizioni di comfort: a ciò contribuiscono l’elevata inerzia termica relativa alla massa del muro in pietra, la ventilazione della copertura e del pavimento oltre a quella garantita dall’effetto camino dovuto sia alla forma della copertura che a una certa permeabilità delle frontiere perimetrali.

Le aperture, di metratura minima in rispetto dei canoni originali, disposte in posizioni diametralmente opposte garantiscono una buona ventilazione incrociata: l’apporto di luce e il ricambio d’aria sono garantiti inoltre dalla porta di ingresso. Il villaggio sfrutta un sistema di fitodepurazione per recuperare buona parte delle acque utilizzate per gli scarichi e in modo da eliminare la necessità di realizzare il sistema di fognature che per essere condotto fino a questo luogo, piuttosto isolato, sarebbe stato economicamente poco sostenibile avrebbe deturpato il territorio.

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Con la rigenerazione, l’ambiente circostante è stato lasciato intatto e sono state piantumate circa 4000 piante. Il villaggio è circondato da un laghetto e da 7 ettari di macchia mediterranea: un vigneto bio, un oliveto bio, un orto bio e uno sinergico procurano gran parte delle materie prime necessarie. Le abitazioni vengono fornite quotidianamente di acqua di fonte servita in anfore di terracotta, di cibi, di prodotti per la cura del corpo prodotti da un’azienda locale, di un emanatore di essenze per l’aromaterapia e di una lampada al sale: il tutto rigorosamente di origine biologica o locale. Gli arredi interni sono totalmente fatti a mano con materiali di risulta, principalmente legno e gli unici arredi non riutilizzati sono i sanitari.

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Ogni cosa è prodotta artigianalmente: persino la biancheria è tessuta utilizzando filati naturali e trame preziose, arricchite da disegni eseguiti sull’impronta di quelli arcaici, tinti con colori essenziali e derivanti da erbe. All’interno del villaggio è bandito il fumo mentre l’uso di smartphone, tablet e pc è vietato negli spazi comuni. La sensazione è quella di essere tornati indietro nel tempo di qualche secolo: il silenzio surreale del luogo è spezzato solo dai rumori della natura, dal canto degli uccelli e dai versi degli animali selvatici, mentre la sera, solo le stelle e la luna illuminano l’intera vallata.

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